Tra le due guerre
Il difficile momento post bellico mise i vermigliani in estreme difficoltà economiche e questo indusse molte famiglie ad abbandonare il paese per cercar fortuna oltreoceano.
Sarà questa un’imponente ondata migratoria che avrà come meta le due Americhe: come si ebbe a scrivere cinquant’anni dopo, anche molti emigranti vermigliani furono attratti dal mito delle strade lastricate d’oro. Per poi scoprire che le strade non erano lastricate d’oro, anzi non erano affatto lastricate, lastricarle era compito loro.
Per molti l’esperienza in Merica fu il definitivo abbandono del paese natio, per altri l’occasione di accantonare piccole somme da investire in qualche attività al rientro a Vermiglio o semplicemente per crearsi una famiglia.
Intanto la nascente industria pesante lombarda progettava lo sfruttamento della forza idrica delle montagne al fine di placare un’insaziabile fame di energia. Le opere necessarie alla realizzazione di quella che è stata definita una colonizzazione idroelettrica diedero sollievo all’economia locale per la forte richiesta di manodopera, specialmente di minatori. Tuttavia il prezzo in vite umane pagato dalla comunità di Vermiglio fu elevatissimo: la silicosi e gli incidenti in galleria ne uccideranno di più delle due guerre mondiali.
Ancora guerra ed emigrazione
Il suolo europeo non ancora completamente asciutto del sangue versato nel primo conflitto mondiale, nel giro di pochi decenni si accingeva ad esserne nuovamente inondato.
Partirono e patirono ancora i vermigliani, questa volta con la divisa degli alpini: li troviamo in Albania, Grecia, Francia e nelle steppe russe. Per molti non ci fu ritorno, per altri la triste sorte della prigionia.
Al termine della seconda guerra mondiale ripresero i lavori nei cantieri idroelettrici con le conseguenze di cui sopra. Intanto la nuova crisi economica post bellica offrì la solita misera alternativa: l’emigrazione.
Le nuove Meriche questa volta furono principalmente l’Australia ed il Cile. La prima necessitava di manodopera da cantiere, la seconda garantiva terra da coltivare: entrambe significarono soverchianti fatiche.
L’esperienza cilena fu addirittura disastrosa per alcuni: venduta ogni cosa a Vermiglio per la nuova avventura, si ritrovarono in una terra sassosa, improduttiva che ben presto prosciugò i miseri risparmi e costrinse ad un amaro e mortificante rientro in patria.
Per gli esclusi dalla cerchia dei bacani, ovvero i contadini allevatori, il boom economico dell’Italia del nord degli anni Sessanta offrì nuove opportunità di lavoro, strappandoli così alla precarietà che spesso induceva molti giovani a traffici di contrabbando o alla pericolosa attività di recuperante.
Torino e soprattutto Milano saranno le nuove mete di emigrazione, senza dimenticare la Bassa bresciana dove forte era la richiesta di braccianti agricoli. Questa volta saranno anche le ragazze di Vermiglio a fare le valigie per recarsi a fare le "serve", ovvero le collaboratrici domestiche, presso le nuove famiglie borghesi di città.
Verso il nuovo Millennio: la rivoluzione turistica
L’industria turistica importata a Passo del Tonale fiorisce negli anni Settanta dando vita ad un nuovo tipo di sviluppo economico e sociale. Si assiste ad un progressivo abbandono della stalla da parte dei piccoli allevatori a cui è offerto peraltro un unico modello di sviluppo zootecnico, alquanto discutibile per l’alta montagna, imperniato sul mito della modernizzazione e dell’industrializzazione del settore. Di fatto viene rotto il secolare e naturale rapporto fra uomo e territorio, facendo così scomparire quelle minuscole attività agricole a conduzione famigliare che potremmo definire unità minime di sussistenza.
L’oggettivo sviluppo economico generato dall’attività turistica e da un’intensa espansione urbanistica ha indicato il settore edilizio ed impiantistico come sbocco economico, permettendo la nascita di notevoli imprese di costruzione, nell’ultimo ventennio disgregatesi in una costellazione di piccole ditte d’artigiani.
Pur riconoscendo i vantaggi e le opportunità offerte dall’industria dell’ospitalità turistica è comunque doveroso sottolinearne le carenze, in primis nell’offerta di lavoro (se non di pura manovalanza, attualmente coperta da personale straniero) e nella sostenibilità ambientale. Dunque fuori dal contesto della rivoluzione economico-turistica di Vermiglio è opportuno ricordare i numerosi operai che hanno lavorato (e lavorano tuttora) nelle squadre provinciali di sistemazione montana, al piccolo esercito impiegatizio talvolta costretto ad un pendolarismo di valle e ai laureati spesso costretti a rimanere nelle città dove hanno completato gli studi e che hanno dato vita ad una versione locale del fenomeno nazionale conosciuto come fuga di cervelli.
(estratto di un testo di Felice Longhi)
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